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Il misterioso Popolo delle Terremare, i Celti e gli Etruschi, seguiti dai Romani e dai Longobardi hanno abitato il territorio che oggi riferendoci ad una storia più recente vogliamo identificare nelle “Terre del Ducato di Parma e Piacenza”, che ha visto lo sviluppo dei Comuni, delle Signorie, dei Ducati fino a essere riconosciuta, con la costituzione del Regno d’Italia e poi dell’Unione Europea, un’inimitabile territorio del buon cibo e della gastronomia in genere. Da oltre 4.500 anni, prima il cinghiale e poi il maiale hanno assunto via via il ruolo di simboli magici, marcatori culturali, preziosi strumenti di valorizzazione del territorio, cibo per il corpo e per l’anima popolare, origine d’inimitabili prodotti tipici, dalla coppa al salame, dal prosciutto al culatello, elementi di vera arte gastronomica. Il rapporto che durante quarantacinque secoli l’uomo, ha stabilito con il maiale, ha dato avvio e sviluppo ad una storia e ad una sociologia che contribuiscono a spiegare il successo dell’agro-industria di queste zone. Da un punto di vista culturale il fenomeno trascende i limitati confini territoriali ed assume significati antropologici generali. Mai come nell’attuale periodo, la conoscenza delle proprie radici culturali, antropologiche e zoo-antropologiche, serve per mantenere e sviluppare l’individualità necessaria per affrontare e dominare le sfide di una globalizzazione, tanto intensa, quanto rapida.
Molto complessa e tutt’altro che chiarita è l’esatta origine dei maiali domestici italiani e soprattutto le vie attraverso le quali si sono formate le razze che sono arrivate fino al XVII secolo dell’era corrente. Gran parte della storia dei maiali italiani, inoltre, è ancora da scrivere, anche se non sono mancate, in passato ed in particolare tra la fine del secolo XIX e la prima metà del XX, descrizioni delle loro razze, in generale nell’ambito d’esposizione più ampie. Un nuovo interesse alle razze italiane si è risvegliato recentemente, per opera soprattutto d’alcuni studiosi che ne hanno riconosciuto il particolare valore sotto diversi aspetti. Un ulteriore interesse per le razze suine autoctone italiane è stato il recente successo dei prodotti salumieri tipici, soprattutto quelli a marchio DOP, IGP e Tradizionali, che ha spinto al ricupero, per una valorizzazione di qualità, delle razze suine dalle quali i prodotti salumieri erano nati e si erano sviluppati. Si deve tuttavia rilevare uno scarso interesse, soprattutto a livello mondiale, per le razze suine italiane autoctone, nonostante il ruolo che alcune d’esse hanno avuto nella costruzione di razze d’importanza divenuta mondiale, come la razza Yorkshire e soprattutto la sua varietà Large White, nelle cui vene scorre anche sangue della razza suina Napoletana. Ad esempio, l’ormai classica monografia di Epstein e Bichard (1984) solo di sfuggita cita la razza Napoletana e non é neppure esaminata, con la necessaria attenzione e come sarebbe stato opportuno, la questione del maiale mediterraneo, al quale partecipano le razze suine autoctone italiane.
Nell’Ottocento, il quasi totale disboscamento della pianura e della prima collina di Parma e Piacenza provocò la fine del pascolo per i suini, che nelle terre basse incominciarono ad essere allevati solo in rustici porcili familiari od annessi ai caselli di lavorazione del latte. Questo fu possibile, non solo come evoluzione dell’allevamento familiare o di quello da ingrasso presso il casello di produzione del formaggio Parmigiano Reggiano e Grana Padano, ma anche per l’utilizzazione di granaglie di sottoprodotti artigianali, ad iniziare dalla crusca che, è bene ricordare, anche agli inizi degli anni Cinquanta del secolo XX, era ritenuta assolutamente indispensabile per l’allevamento del maiale nei caseifici. Una produzione suina che tuttavia era ridotta, soprattutto per due limiti: quello della produzione di suinetti, effettuata a livello locale, e quello della stagionalità nella produzione di siero di latte (tradizionalmente dal 19 marzo all’11 di novembre). Questi limiti saranno superati con l’importazione dei “magroni” anche da regioni distanti e con l’estensione del periodo di produzione del formaggio grana (prima con il “vernengo”, poi con la produzione di Parmigiano Reggiano durante tutto l’anno). Nelle terre alte appenniniche, invece, le antiche pratiche si ridussero negli anni Trenta del XX secolo a seguito dell’estensione dell’agricoltura per la “battaglia del grano”, ma in parte continuarono a sopravvivere.
I primi dati sull’industria salumiera disponibili dopo la nascita dello Stato italiano offrono il quadro di un settore fortemente eterogeneo dal punto di vista dimensionale e tecnologico, in cui convivono realtà produttive artigianali a conduzione familiare, laboratori di norcineria con manodopera e macchinari moderni, imprese organizzate con metodi produttivi di tipo industriale. La presenza di questi ultimi era concentrata nelle province emiliane (Bologna, Reggio Emilia, Modena, Parma e Piacenza) e lombarde (Cremona e Mantova), dove radicata era la tradizione salumiera e disponibile la materia prima proveniente dai locali allevamenti stabulari di suini.
La meccanizzazione delle fasi di trinciatura, impasto ed insaccamento attraverso l’introduzione di macchine trituratrici, pestatrici, impastatrici, raffinatrici e insaccatrici azionate da motori a vapore, l’ampliamento della capacità produttiva ed il salto commerciale al di fuori delle mura cittadine contraddistinguevano le imprese più dinamiche del settore.
Nella salumeria italiana è possibile individuare diverse radici storiche.
- Zona punico-fenicia, preparazioni in prevalenza di piccola pezzatura realizzate in Sardegna.
- Zona greca, tipicità con uso di spezie esotiche e nostrane, fatte in Campania, Basilicata, Puglia e Sicilia.
- Zona etrusco-latina, salumi prevalentemente crudi, lavorati in Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo e Molise.
- Zona celtica, salumi crudi e cotti, con limitato contenuto di sale, manufatti in Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna.
- Zona germanico mitteleuropea, salumi affumicati, anche ricavati da carne di ruminanti, preparati in Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige.
La carne di maiale è l’ingrediente principale della preparazione della maggior parte dei salumi, e gli studiosi dell’antichità non mancarono di lodarne le proprietà. Ippocrate (V sec. a.C.) scriveva: “La carne di maiale è quella che fornisce al corpo umano più forza e la più digeribile”. Catone (II sec. a.C.) nel De Agricoltura illustrava il metodo per la conservazione delle cosce di suino mediante salatura e stagionatura della carne, e della passione dei Romani per questo salume rimane memoria anche nell’antica strada dei mercati, via Panisperna (ovvero “pane e prosciutto”). Terenzio Varrone (I sec. a.C.) nel suo “De Rustica” scriveva che i Galli erano i principali esperti nella lavorazione delle carni suine, e che a Roma se ne importava grandi quantità. Plinio il Vecchio (I sec.) nella sua Storia naturale asseriva: “da nessun animale si trae maggiore materia per il gusto del palato… le carni del maiale offrono quasi cinquanta differenti sapori, mentre ogni altro animale ha un sapore unico”. Con le successive invasioni barbariche il suino diventò una delle risorse più importanti dei villaggi, e prosciutti, spalle, pancette si trasformarono addirittura moneta di scambio. Nel Medioevo il pascolo dei maiali aveva tale valore, che i boschi erano misurati in base alla loro capacità di nutrire i suini. Dal XII sec. in poi ci fu un forte sviluppo dei mestieri legati alla trasformazione delle carni, e varie fonti ci attestano che la produzione di salumi entrò nella realizzazione dei trionfi. In età Moderna le carni di maiale lavorato parteciparono ai fastosi banchetti, diventando con il tempo golosità da esportare fuori dall'area di produzione. Per esempio dagli Archivi di Stato di Genova, emerge che i corsari genovesi del periodo a cavallo fra Sette e Ottocento, stivavano le navi di prosciutti provenienti dall’Emilia e dal Veneto. All’inizio dell’800, iniziarono a diffondersi i primi laboratori alimentari e le prime salumerie, e la fama dei salumi italiani valicò le nostre frontiere grazie anche alla propaganda che ne fecero due ambasciatori d’eccezione: Rossini e Paganini.
Cinghiale al pascolo in un campo di melica da un’illustrazione del Theatrum Sanitatis di Ububchasym de Baldach: codice della fine del XIV secolo, Roma, Biblioteca Casanatense
Le ricette pubblicate
- Bortellina (burteleina)
- Bortellina di Bettola (Burtlena)
- Anolini piacentini (anvëin)
- Tortelli con la coda (turtei cu la cua)
- Pisarei e fasò
- Mezze maniche ripiene
- Panzerotti alla piacentina
- Tagliatelle con la ricotta fresca
- Tagliatelle in salsa di noci
- Spaghetti alla chitarra con ragù d'anatra
- Spaghetti alla carbonara
- Carbonara al pesce spada
- Spaghetti aglio, olio e peperoncino
- Spaghetti alla trinacria
- Spaghetti alla chitarra con uova di lompo e bottarga
- Ziti con le polpette della nonna
- Maccheroni al crudo con zucca e ricotta salata
- Paccheri con pomodoro fresco e ricotta salata
- Pappardelle con funghi porcini e speck
- Pappardelle con speck d'anatra e funghi porcini
- Gnocchi di patate con speck e scamorza affumicata
- Risotto alla zucca
- Risotto agli asparagi
- Risotto con salsiccia
- Risotto al Gutturnio con fonduta di Castelmagno
- Risotto primavera
- Bomba di riso con piccioni
- Minestra di riso e spinaci
- I Testaroli
- Farfalle primavera
- Insalata primavera
- Pollo in salsa tonnata
- Tris di frittate
- Insalata di pollo
- La vignarola romana
- Insalata di polpo e patate
- Polenta con mozzarella e pomodori
- Polenta con i ciccioli
- Polenta ai formaggi
- Polenta con uovo al formaggio e tartufo
- Polenta con brasato di asinina e funghi
- Couscous "margherita"
- Couscous con pollo al curry, asparagi e zucchine
- Picula 'd caval
- Anatra arrosto
- Brasato di petto d'anatra in carpaccio
- Tasca di vitello farcita
- Coniglio alla piacentina
- Fesa di tacchino con olive e speck
- Fegato alla veneziana
- Filetto al pepe verde
- Costine di maiale sfumate
- Braciola di maiale saporita
- Anguilla spaccata ai ferri
- Pizza bianca agli asparagi
- Crostini di lardo e finocchio
- Lardo battuto (Pistà ad Gras)
- Acaraje
- Ananas speziato
- Ciambella (buslàn)
- Mosto d'uva cotto
- Torta di mele
- Torta di riso senza zucchero
- Ciambellone al cioccolato
- Torta Sacher o Sachertorte
- Turtlitt
- Macedonia sotto spirito
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